O’documento: giro nella Grande Mela dei sans papiers

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Ho ripreso a riprendere il treno. Il treno è il mio mezzo di trasporto preferito in America, perché è in orario, è silenzioso (hanno le carrozze in cui è VIETATO avere il cellulare con la suoneria e conversare ad alta voce) e confortevole e ti fa arrivare ovunque, sempre ovviamente a seconda del budget che hai a disposizione. Ad esempio se vuoi arrivare a Washington ci puoi mettere più di 3 ore con un paio di cambi e pagare una 40una di dollari oppure mettercene 2 con un solo treno e pagarne più di 100, con Amtrak.

Il mio budget ovviamente ridotto all’estremo mi ha rimesso sulla tratta classica, quella verso New York. Ormai mia meta “familiare”, vissuta in inverno e in primavera, New York d’estate è qualcosa di invivibile: l’aria calda proviene da ogni parte, dai fumi che salgono dalle grate della metropolitana – quelli che fanno alzare la gonna a Marylin Monroe nel film “Quando la moglie è in vacanza”, per capirci –  dai bocchettoni e dalle ventole delle migliaia di ristoranti e locali per ogni gusto ed etnia che popolano la città, e dalla canicola estiva. Aggiungici migliaia di automobili, migliaia di autobus, milioni di persone e la Grande Mela al forno è cotta a puntino.

Il viaggio da Princeton – la città dove insegnava il matematico John Nash – a New York è di circa un’ora e mezza ed è popolato da tanti pendolari che tutte le mattine vanno nella grande metropoli a lavorare. La percentuale dei viaggiatori è principalmente composta da giovani indiani, uomini e donne – gli indiani dell’India, non gli indiani d’America – che lavorano in tutti i principali settori, principalmente quelli scientifici ed informatici (un’altra buona fetta di indiani dell’India gestisce le pompe di benzina d’America, invece). Decine e decine di Raj Koothrappali in camicia bianca e zaino in spalla che ogni giorno fanno avanti e indietro dalle aree residenziali verso il centro metropolitano. Perché New York sarà pure bella, ma è cara da morire e la vivibilità non è poi il massimo, così la maggior parte dei lavoratori preferisce vivere dall’altra parte dell’Hudson River – New Jersey, Long Island, Pennsylvania – dove lo stile di vita è meno caotico e più a misura d’uomo. Con un quello che pagheresti per un appartamento a Manhattan riesci a prendere una casa con portico e parcheggio per auto.

I miei giri a New York questa volta sono un mix di piacere e dovere: il piacere di incontrare amici che si sono trasferiti qui per periodi brevi o per sempre, il dovere di trovarmi un lavoro. A nero, poiché il visto turistico non consente di lavorare. In teoria, perché in pratica girando per ristoranti e locali non ho trovato lavoro ma ho scoperto una situazione di irregolarità veramente interessante. In cui i messicani sono un grande punto di riferimento. E gli italiani sono illegali di successo.

Innanzitutto a New York ci sono tante, ma tante persone con visto scaduto che vivono in clandestinità, una clandestinità che però non è così difficile da vivere. Chi non ha i documenti necessari per stare qui in regola riesce comunque a trovare un affitto – e a pagarlo –  e un lavoro, e non parlo del classico lavoro di merda che un irregolare fa in Italia. No. Qui i “san papiers” lavorano, alcuni aprono persino delle attività commerciali di successo, hanno dei conti in banca su cui versano i loro abbondanti stipendi, hanno la Social Security che è la cosa necessaria per lavorare e l’ID, la carta di identità. Ovviamente tutto falso, ma tutto funzionante. Quello che conta, qui, è che paghi le tasse, non si va tanto scavare nel profondo per verificare se ti chiami effettivamente Mario Rossi o no. Anche perché qui nessuno ti chiede i documenti se sei in giro e non sei dovuto a mostrarli, a meno che non fai qualcosa di male e ti portano dentro. Qui quello che conta è  vivere low profile, a basso profilo, farsi notare il meno possibile e non mettersi nei casini. Poche regole e si può stare qui per anni e anni.

Ho incontrato un’italiana, capo sala in un ristorante: entrata con il classico ESTA, sta qui dal 2004. E non ha nessuna intenzione di tornare a casa, guadagna anche più di 100 dollari al giorno e sta bene così.

A darti una grande mano nel metterti nel giro dell’illegalità sono gli Spanish: messicani, colombiani, portoricani eccetera. Loro per venire qui rischiano veramente e se lo fanno è per quel famoso “sogno americano” che ti permette di campare dignitosamente e mandare i soldi a casa. Non è un capriccio o una “prova” che male che va torni a casa. Perciò sono una vera macchina operativa nella filiera della ricezione di documenti falsi: basta chiedere in giro e in meno di 24 ore, alla modica cifra di 100/ 150 dollari avrai la tua Social Security falsa per iniziare a lavorare. Un investimento piccolo, che ammortizzerai in un paio di giorni di lavoro.

Tanti, quindi, i pro. Qual è allora – se c’è – il contro di questa storia? A parte il rischio – non elevato come ho intuito – di essere beccato e rispedito a casa, se sei homesick, se ti viene la botta di nostalgia di mamma e papà, di casa, degli amici, del baretto e le Peroni fresche e del calcetto il giovedì sera te la fai passare. Chi ha il visto scaduto infatti se decide di tornare a casa, negli USA non ci entra più e si becca pure una bella multa più il divieto di rimettere piede nella patria delle stelle e delle strisce. Per 10 anni. E non è detto che dopo 10 anni ti faranno rientrare. Si chiama “Red Flag”, bandiera rossa. Che “non la trionfa” così tanto, visti i tanti clandestini, illegali, irregolari che vivono bene qui.

L’alternativa al vivere sotto false sembianze è quella del matrimonio: finto, anche questo. I controlli all’ingresso tanto temuti durante l’amministrazione Trump sembrano essere una bufala perché qui, almeno a New York, la macchina della Green Card ottenuta con l’imbroglio è ancora perfettamente oleata e funzionale. Basta parlare con qualsiasi italiano che sia qui da più di un anno e ti diranno che il matrimonio combinato è un’usanza tuttora in uso: quello che ti occorre è avere tra i 20 e i 25 mila dollari da dare al o alla consorte e avere, ovviamente, un consorte. Maschio, femmina, l’importante è che sia cittadino americano, perché è grazie alla sua cittadinanza che tu otterrai la tua e quindi una vita normale, con il tuo nome e cognome e la possibilità di avere tutto quello di cui un cittadino americano necessita. Ovvero: conto in banca ed assicurazione sanitaria.

Il matrimonio illegale non è semplice come sembra, e non solo dal punto di vista economico: Ylenia, una ragazza che a New York ci lavora da anni e che è fidanzata con un suo compaesano – illegale anche lui – mi dice che la cosa importante da fare è scegliere una persona “seria”. E per seria non parliamo di un bravo ragazzo da presentare ai genitori. Intende qualcuno che non abbia debiti o situazioni economiche compromettenti, perché una volta sposati le sue rogne finanziarie ricadranno su di te e chiedere il divorzio immediatamente dopo il matrimonio farlocco potrebbe destare sospetti. Altro ammonimento, da chi c’è passato e sta ancora piangendo: amici di amici raccomandano di non versare tutti i soldi in un’unica soluzione, ma aspettare l’arrivo della Green Card e poi versare l’ultima quota, altrimenti il tuo coniuge fake potrebbe sparire con tutti i tuoi soldi e tu rimarresti sempre un san papiers ma pure un  san argent.

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